Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite

Obiettivo 13: Lotta contro il cambiamento climatico

Si è parlato tantissimo di COP 26 prima che la conferenza avesse luogo; alla sua conclusione però non ci sono stati grossi titoli sui giornali sui risultati. Forse perché anche tra i delegati e gli osservatori l’entusiasmo è stato sostituito dalla difficoltà nel riuscire a dire se la COP sia effettivamente stata un successo o un fallimento.

Proponiamo qui un breve resoconto delle principali decisioni che sono state prese, commentandole esclusivamente alla luce dell’urgenza dettata dalla scienza del clima e delle indicazioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change).

Partiamo dal tema dello stop all’uso del carbone. Da Glasgow sarebbe dovuto uscire un impegno ad abbandonarlo; il problema è che l’India (appoggiata da Cina e Australia) è riuscita a far sì che nel documento finale della COP “Glasgow Climate Pact”, fosse indicato come obiettivo un phase down (progressiva riduzione) anziché il phase out, ovvero l’abbandono completo del carbone.

Lo stesso documento riporta però anche un impegno a ridurre del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030 (rispetto al valore 2010), riduzione che potrebbe permettere di rispettare l’obiettivo di rimanere entro un aumento di 1,5°C di temperatura, valore che tutta la comunità scientifica concorda essere il limite invalicabile per evitare conseguenze globali disastrose.

Uno dei temi più importanti ma anche di più difficile comprensione è quello relativo agli NDC (Nationally Determined Contributions) ovvero gli impegni volontari dei singoli Paesi per la riduzione delle emissioni. L’indicazione è che dal 2025 i Paesi dovranno comunicare ogni 5 anni i propri impegni con orizzonte decennale, ma non ci sono obblighi in tal senso e quindi rischiano di restare documenti solo indicativi.

Altro elemento è la gestione del Green climate fund costituito fin da Copenaghen 2009 e rilanciato a Parigi 2015. L’impegno è quello di destinare 100 miliardi di dollari ogni anno ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli a progredire grazie a tecnologie a basso impatto climatico, ma non è stato ancora chiarito in alcun modo come sarà gestito il fondo, chi lo sosterrà e come verrà ridistribuito. Sempre in ambito finanziario, un altro fondo, il loss and damage, dovrebbe essere destinato a quei Paesi che hanno meno colpe nel riscaldamento globale ma che ne pagano per primi le conseguenze, come le piccole isole che rischiano di scomparire, per far fronte agli impatti climatici: anche in questo caso è stata rimandata una decisione in merito a future conferenze.

Al di fuori del “Glasgow Climate Pact” ci sono stati una serie di impegni significativi proposti e firmati da gruppi più o meno grandi di nazioni.

Quello che ha avuto l’eco principale è la dichiarazione sulle foreste, un impegno a fermare la deforestazione entro il 2030 grazie ad un fondo di circa 16,5 miliardi di euro. Vi hanno aderito 140 Paesi che ospitano l’85% delle foreste globali: c’è anche il Brasile che speriamo possa invertire le politiche di Bolsonaro verso l’Amazzonia.

Il più significativo però è forse stato l’annuncio della costituzione della Beyond oil and gas alliance (BOGA, alleanza per andare oltre petrolio e gas). Proposta da Danimarca e Costa Rica, ha l’obiettivo di eliminare completamente petrolio e gas dal mix di produzione energetica dei Paesi. Questo impegno è stato firmato solo da 11 parti (non per forza stati, tra essi vi è infatti la California). Sono 3 le modalità con cui prendere parte all’impegno: Core member, con l’impegno di non concedere più concessioni per attività di produzione ed esplorazione di petrolio e gas; Associate member, con l’impegno di tagliare i sussidi rivolti a gas e petrolio; “Friend”, con l’impegno di allineare l’uso di gas e petrolio per rispettare l’Accordo di Parigi. Quest’ultima è la modalità di adesione con con il livello di ambizione più basso e solo una nazione ha aderito con questa forma: l’Italia.

Un altro documento proposto da UE e USA e firmato da oltre 100 Paesi, tra cui l’Italia, è stato il Global Methane Pledge un impegno a ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030.

Prima di concludere è importante sottolineare che la COP26 ha dato nuova spinta alle relazioni diplomatiche legate ai cambiamenti climatici; il rientro degli Stati Uniti in questo contesto dopo l’era Trump ha sicuramente influito. Ed infatti un grande risultato è stato l’accordo bilaterale tra Cina e Usa (i due Paesi che emettono più gas serra al mondo) che vogliono cooperare attraverso l’istituzione di un tavolo congiunto per il rispetto dell’Accordo di Parigi, con obiettivi che riguardano la transizione verso l’energia pulita, politiche per la decarbonizzazione, economia circolare, nuove tecnologie per lo stoccaggio della CO2.

Come avete potuto capire, non è facile raccontare quali sono stati i risultati di COP26. Quello che è certo è che gli impegni sono tanti, perlopiù significativi e in linea con quanto raccomandato dalla scienza ma spesso ancora non concretizzati: speriamo possano esserlo al più presto.

 

  • Giacomo Magatti – Giacomo Magatti è Sustainability Specialist presso il Centro BASE (Bicocca Ambiente Società Economia) dell’Università di Milano-Bicocca e socio di Rete Clima

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